La Repubblica, 18 ottobre 2014 – La diocesi “taglia” le parrocchie Mancano i preti per poterle gestire
Ad Altessano, nella canonica di San Lorenzo, dove fino a poco tempo fa abitava il vecchio parroco, adesso vive una famiglia: marito e moglie, entrambi di origine africana, lui a un passo dal diventare diacono. Abitano nella parrocchia, la custodiscono, si occupano di tenere aperta la chiesa e di coordinare le attività pastorali, dal catechismo all’oratorio. In un certo senso hanno sostituito il parroco, un tempo presente 24 ore su 24. Certo, il prete continua ad esserci, anche perché solo lui può dire messa, ma vive nell’altra chiesa di Venaria dove, anche lì, è parroco. Come lui, ci sono altri 62 sacerdoti nella diocesi di Torino che devono dividersi tra più parrocchie. Una situazione sempre più critica per la chiesa torinese, dovuta all’invecchiamento del clero e alla crisi delle vocazioni: il saldo tra numero di preti attivi, cioè sotto l’età della pensione prevista a 75 anni, e il numero di parrocchie è negativo. Ci sono, insomma, più chiese parrocchiali da amministrare che parroci in servizio: le prime sono 355 sparse per 158 comuni, i secondi soltanto 260, tanto che in 46 devono fare il doppio, in 14 il triplo, e in 3 il quadruplo del lavoro, essendo titolari di più sedi. Fatti i dovuti conti, mancano 95 preti rispetto a quanti ne servirebbero.
Un bel problema, se si guarda al futuro: su 482 sacerdoti, 177 hanno superato l’età della pensione e solo 29 sono under 40. L’età media: 66,2 anni. «In prospettiva, con questi numeri, in dieci anni si dimezzerà il numero di preti attivi », ragiona il vicario generale, monsignor Valter Danna. Come fare, dunque? Su spinta dell’arcivescovo Cesare Nosiglia, è stato messo a punto un «piano per il riassetto territoriale della diocesi», su cui, proprio in questi giorni, è partita una consultazione che per un anno impegnerà, una ad una, tutte le 60 unità pastorali in cui sono raccolte le parrocchie. La parola d’ordine, più che «soppressione», è «accorpamento ». Un destino che negli ultimi mesi è toccato alle chiese del centro: San Tommaso in via Pietro Micca è stata unita alla Cattedrale, il Carmine accorpata con Santa Barbara. Difficile dire quante parrocchie, alla fine del processo, rimarranno aperte. «Non è solo questione di numeri — chiarisce il vicario, cui spetta il compito di seguire il riassetto — Papa Francesco invita ad uscire dai recinti per andare verso gli altri e le “periferie dell’esistenza”. È un percorso coraggioso, da svolgere con gradualità, sostenibilità, flessibilità. Non c’è una ricetta valida per tutti. Va valutato caso per caso, per non ferire la sensibilità di persone e comunità con storie secolari».
Molte parrocchie non esisteranno più in quanto tali. In un territorio dove c’erano due o tre parroci, adesso ne rimarrà uno solo. «Ma non vorrà dire — precisa don Danna — che le chiese chiuderanno. Rimarranno aperte, ma l’eucarestia domenicale sarà celebrata nella chiesa parrocchiale. Anziché, come succede in contemporanea in centro a Torino, in tanti luoghi di culto, a pochi metri di distanza, per poche decine di persone. Le altre chiese succursali saranno dedicate ad attività pastorali specifiche: la preparazione ai sacramenti, l’oratorio, il servizio della carità». Un processo più facile, forse, in città, dove identità e confini sono meno marcati. E più complicato nei centri della pianura. Ma la scommessa non si limita a una riorganizzazione della presenza del clero sulla mappa geografica. L’obbiettivo è dare gambe e braccia a quella «chiesa in uscita» rilanciata da papa Bergoglio: «Un tempo erano i cristiani ad accorrere in chiesa — spiega il vicario — Adesso, con il 2-5 per cento di praticanti in città, dev’essere la chiesa ad uscire fuori, per portare il fermento evangelico nei luoghi di lavoro e tra le famiglie ». Un programma ambizioso, che richiede nuove energie: «Non bastano i preti, i vescovi e il papa — fa notare don Danna — Occorre cambiare mentalità e valorizzare il sacerdozio dei battezzati, cioè dei laici». Ecco quindi che le canoniche delle parrocchie chiuse non saranno lasciate vuote, ma affidate, come ad Altessano, a laici che avranno il compito di animare la comunità. Una decina di loro, famiglie o singoli, stanno studiano per prendere in mano le redini di altrettante parrocchie, che tra non molto non avranno più un parroco “in casa”, ma continueranno ad essere comunità.
GABRIELE GUCCIONE © RIPRODUZIONE RISERVATA