Un articolo di Mario Chiaro, teologo e pubblicista, nel 2006 immaginava una nuova ‘road map’ da percorrere nel ripensare il rapporto tra preti e sposi.
Le due vocazioni nascono da una comune esperienza di amore. Più si incontrano e maggiori saranno gli elementi per un discernimento vocazionale, soprattutto per il futuro presbitero. […]
I presbiteri, a contatto con la famiglia intesa come palestra relazionale, possono apprendere la pedagogia dell’amore; gli sposi possono apprendere gratuità e perseveranza nella carità pastorale dai presbiteri. […]
Nel testo Ben-essere per la missione (Queriniana, 2003) i coniugi Gillini-Zattoni propongono di identificare la “nuova famiglia” del presbitero in una realtà che non sia fondata sulle relazioni di carne e sangue (come la famiglia d’origine), né sulle relazioni che portano al vincolo matrimoniale (come è per gli sposi), ma sulla risposta di coloro che sono chiamati a quel servizio per la chiesa che è la verginità per il Regno. La nuova famiglia del presbitero è, dunque, quella parte di presbiterio che lavora nella stessa vigna. Ricordiamo il n. 43 di Tertio millennio ineunte: «Prima di programmare iniziative concrete, occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità».
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DUE VOCAZIONI DALLA STESSA RADICE INSIEME PER LA MISSIONE
Le due vocazioni nascono da una comune esperienza di amore. Più si incontrano e maggiori saranno gli elementi per un discernimento vocazionale, soprattutto per il futuro presbitero. […]
Stessa radice, stessa missione
Del resto, proprio le connotazioni dell’amore, vissute con autenticità nelle dinamiche familiari, risultano modello per l’edificazione del regno di Dio. C’è, dunque, un’energia psichica, affettiva e spirituale, nell’incontro tra le due vocazioni, che va espressa nella ricaduta di un benessere personale e comunitario. Si tratta di quel “doppio” movimento noto ai primi apostoli: dalla missione per le strade all’accoglienza gioiosa nelle case, e poi di nuovo per le strade. Un vero itinerario catecumenale individuale e familiare, con un mutamento nel modo di pensare e un’assunzione di nuovi stili di vita. […]
Formazione e discernimento
Non è più sufficiente, allora, per i futuri preti, l’esperienza originaria con la propria famiglia. È vero infatti che, «spesso, le stesse situazioni familiari, dalle quali provengono le vocazioni sacerdotali, presentano al riguardo non poche carenze e talvolta anche gravi squilibri» (Pastores dabo vobis, 44). La formazione deve tendere al superamento dell’egocentrismo come condizione di un servizio autentico a Dio e ai fratelli, per una gestione sapiente delle energie psico-affettive, al fine di evitare ogni pericolosa forma di implosione o di esplosione.
Urge ripensare l’impegno formativo in ordine alla frequentazione di famiglie formate e accoglienti: si tratta di integrare/armonizzare la scelta ministeriale celibataria con la spiritualità coniugale, nell’orizzonte della radicalità evangelica. I presbiteri, a contatto con la famiglia intesa come palestra relazionale, possono apprendere la pedagogia dell’amore; gli sposi possono apprendere gratuità e perseveranza nella carità pastorale dai presbiteri. Dopo il convegno di Palermo, anche il tema del discernimento deve orientare i due sacramenti.
In particolare, l’amore per Gesù, concreto e carico di affetto, non può non coniugarsi con un campo di relazioni umane: essere scelti dal Signore per il celibato non dispensa dal coltivare relazioni profonde. Dei tre tipi di relazioni interpersonali (filiale, paterna e paritetica), il più complesso e delicato è il livello paritetico. Ebbene, sacramento del matrimonio e sacramento dell’ordine si giocano in modo particolare proprio su tale livello. Il candidato al sacramento dell’ordine si sente dire quanto è importante avere un padre spirituale: egli è chiamato a diventare, a sua volta, padre della comunità, mentre, come educando e figlio, spesso lotta o con la “mammo-dipendenza” o con la “sindrome da ribellione”. Senza la dimensione paritetica, rischiamo seriamente di formare o dei paternalisti o dei padri-padroni! La giusta proporzione del rapporto paritetico può essere chiave decisiva per aiutare nel fare/progettare e nel pensare/condividere un cammino di evangelizzazione.
La famiglia del presbitero
Il giovane che si sposa lascia la propria famiglia d’origine. Nella “psicologia dei luoghi comuni” serpeggia l’idea che, poiché il prete non si sposa, resterà sempre della propria famiglia. Mentre è chiaro quale sia la nuova famiglia per l’adulto che ha fatto una scelta matrimoniale e abbastanza chiaro il senso di una “nuova” famiglia per chi va a vivere in convento o in una delle comunità di vita consacrata, non è per niente chiaro quale sia la “nuova” famiglia per il presbitero diocesano.
Nel testo Ben-essere per la missione (Queriniana, 2003) i coniugi Gillini-Zattoni propongono di identificare la “nuova famiglia” del presbitero in una realtà che non sia fondata sulle relazioni di carne e sangue (come la famiglia d’origine), né sulle relazioni che portano al vincolo matrimoniale (come è per gli sposi), ma sulla risposta di coloro che sono chiamati a quel servizio per la chiesa che è la verginità per il Regno. La nuova famiglia del presbitero è, dunque, quella parte di presbiterio che lavora nella stessa vigna. Ricordiamo il n. 43 di Tertio millennio ineunte: «Prima di programmare iniziative concrete, occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità».
L’ipotesi di tale “nuova famiglia” tra gli educatori del seminario ha ricadute sulle relazioni educative. Infatti, i seminaristi possono prendere a modello gli educatori e il modo con cui riescono a volersi bene e a fare cordata tra loro, nonostante la diversità personale. Se il gruppo degli educatori non vede come risorsa il vivere lì la “nuova famiglia” e il meditarla con il Vangelo vivo, difficilmente viene consegnato ai seminaristi in termini credibili un modello di prete che esercita la sua missionarietà in solido con il presbiterio locale. Si pensi al seminarista dedito alle pratiche di pietà, fedele alle proposte di formazione ma, nello stesso tempo, poco generoso con i compagni, senza amici, confinato tra studio e cura liturgica, nell’attesa di diventare prete.
Se invece il gruppo degli educatori è qualcosa più di «un’équipe dirigenziale che sforna presbiteri» ed è la “nuova famiglia” di ciascuno di essi, c’è spazio per lasciarsi aiutare dagli altri e per mettere a tema aspetti del distacco dalle famiglie d’origine. In altri termini, se gli educatori del seminario scoprono l’importanza di svolgere un’opera fraterna e solidale al servizio delle nuove vocazioni, il seminario può diventare veramente il luogo dove si “prefigura” il ministero, dove imparare a monitorare le manifestazioni di assenso/dissenso e ad accogliere gli altri (non solo “pensare di accoglierli”).
Un tale presbiterio in seminario è come una catena umana in cui ciascuno ha una mano che può porgere a colui che segue, come l’educatore ha una mano che lo tiene ben saldo alla cordata, fornendo un supporto di lealtà e di potenziale auto-correttivo. Proprio come suggerisce la concezione psicologica triangolare di Jay Haley (“il figlio non reagisce tanto ai singoli genitori quanto alla relazione tra loro”), il seminarista, dal punto di vista della sua crescita umana e affettiva, reagisce, più che ai buoni esempi o consigli dei singoli, alla relazione che i suoi educatori hanno tra loro.
Mario Chiaro
[1] Cf. il seminario di studio Ordine e matrimonio insieme per edificare il popolo di Dio (Roma, gennaio 2005), in Notiziario Ufficio Cei, 4/2005. In particolare vedi i contributi di mons. I. Castellani, Ina Siviglia, mons. D. Coletti, M. Zattoni e G. Gillini. In appendice un interessante scritto del card. G. Danneels sul tema.