Daniela ed Enrico Coppin, cinque figli e due lavori a tempo pieno, dal 2010 abitano in un condominio solidale posto dentro il centro pastorale della parrocchia Santi Martiri Anauniesi a Milano. Vivono un’esperienza di fraternità con un’altra famiglia con cui condividono anche l’impegno ad accogliere minori in affido e adulti in difficoltà.
Al seminario di Seveso hanno incontrato un gruppo di giovani preti per una serata di scambio e riflessione a partire dalla domanda ‘Come le famiglie vedono i preti?’. Con una lettera hanno provato a raccontare il punto di vista delle famiglie impegnante in parrocchia; a trovare l’essenziale tra preti “Superman”, preti alla “Jesus Christ Superstar” e preti che, quando incontri la loro umanità, ti cambiano la vita.
La nostra esperienza di singoli, di coppia e di famiglia è costellata dal volto di tanti preti che si sono lasciati interrogare dalla nostra vicinanza e ci hanno permesso di entrare un poco nel mistero, per noi, della loro scelta e della loro quotidianità.
Don Vanni, coi suoi 25 anni e il suo fare accattivante, al cui funerale, arrivato all’improvviso un giorno come diceva sempre lui “io tanto morirò d’infarto” c’era tutta la Valsassina e non solo;
don Ambrogio così disponibile, ingenuo, appassionato della tua vita, un direttore spirituale attento che poi, un giorno, quasi all’improvviso pure lui ha detto “Vado in un santuario” e di lui non abbiamo più saputo nulla;
don Federico con cui abbiamo dovuto superare la fatica iniziale di tante e tante serate in cui arrivava il messaggio “posso venire a bere un caffè?” e noi eravamo stanchi , coi figli eternamente svegli, ma poi quelle chiacchiere facevano bene anche a noi, ci riportavano ad una dimensione più alta, ci costringevano ad alzare gli occhi dalla nostra quotidianità. Ecco, lui è il nostro prete-amico, quello con cui siamo andati al cinema, in vacanza, quello che ci ha aiutato a fare le pulizie, quello che ci ha curato i figli, che ci ha dato passaggi in macchina, che ci ha prestato la sua macchina….[…]
Con grande gioia questa sera vogliamo proporvi un paio di tematiche che ci stanno a cuore e sulle quali ci piacerebbe tanto avere uno scambio con voi:
Amare ed essere amati
Amare ed essere amati è un bisogno naturale e necessario per gli esseri umani , l”originario fenomeno umano” lo definisce Benedetto XVI nell’Enciclica “Caritas in veritate”e la risposta a questo bisogno contribuisce in modo fondamentale alla strutturazione della persona, all’immagine che ci si costruisce di sé, degli altri, del mondo.
Pensiamo che i preti non siano esenti da questo bisogno, a meno che non li si annoveri tra i non-umani, esseri un po’ umani e un po’ speciali che non appartengono in tutto e per tutto alla nostra categoria umana; abbiamo conosciuto in effetti don Marco che mangiava e beveva come noi ma non aveva bisogno di dormire come noi, don Luca che potevano tirare avanti anni senza fare un giorno di vacanza, preti superman che rientrano in casa mezz’ora al giorno e questo gli basta, (tanto mica devono riposare), preti manager, come don Carlo, che si scongelava un surgelato a sera perché mica cucina come tutti, preti da amare, preti da dimenticare, preti che vorresti a vivere a casa tua, coi tuoi figli e preti che ti chiedi se una casa l’abbiano mai avuta, una famiglia, degli affetti, o se sono nati così, adulti, seri, tristi, un po’ depressi…..
Ecco, proprio perché noi desideriamo continuare a considerarli persone normali, continuiamo a pensare che abbiano bisogno di amare e di essere amati . Ci sembra però che talvolta i preti parlino sì di “amore”, di “amare”; ma di un amore astratto, teorico, di un amore che alla fine non esiste, perché per primi non lo sperimentano concretamente. Ci sembra che rinunciare al bisogno di amare ed essere amati abbia talvolta e per alcuni a che vedere col valore, con la forza di volontà, col sacrificio connesso all’essere prete, come affermazione di forza e di indipendenza. […]
Il sogno
…A volte forse la perdita del “sogno” è dovuta alla mancanza di ossigeno che si crea nelle relazioni quotidiane; voi siete all’inizio del vostro ministero, certamente il vostro sogno è ancora solido….eppure a noi è capitato di conoscere un prete, all’inizio, come voi, che, coadiutore d’oratorio ha chiesto da subito aiuto…..non è riuscito forse a vedere che il suo “sogno” stava prendendo fattezze umane, non era più un desiderio di darsi a tutti, di amare tutti incondizionatamente, il prossimo tuo, ma il prossimo era diventato la vecchietta della Messa delle 8, la signora Maria, il signore con l’Alzheimer, quello che viene in chiesa sempre, il venerdi, quando c’è il mercato, Federica, la ragazza sedicenne che ti si siede in braccio….. Un conto è “il prossimo”, un conto è “quel prossimo” deve aver pensato don Giovanni, chiedendo di condividere un’esperienza di coabitazione con altri preti, perché da solo proprio non pensava di potercela fare…
Non avere paura
Essere cristiani oggi, testimoniare la speranza nel Dio che si è fatto uomo, non può non voler dire che dobbiamo entrare nelle vicende di ciascuno. Dobbiamo essere appassionati della vita, delle novità, delle vicende degli uomini; ascoltarli. ..
Certo, ascoltare poi vuol dire farsi carico, delle sofferenze, delle gioie, dei bisogni….ma solo così ci si avvicina e si fa avvicinare al nostro Dio-uomo, non ad un Dio filosofia, ma ad un Dio umano, che ha riso, ha pianto, ha condiviso, ha sofferto….
Persino in Confessione mi è capitato di sentire “si, si, ok…..non entri nei particolari”….ma che paura fanno a volte i particolari della vita dell’altro? Cos’è che temiamo?
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