LA TRACCIA: quali sfide, quale stile per le famiglie missionarie a Km0?
A partire dal cammino che la diocesi ci chiede di fare, arriviamo a ‘tirare le fila’ del lavoro sugli stili di vita (coppia, figli, lavoro&soldi) messo a tema per quest’anno.
Un certo modo di vivere le relazioni, di immaginare la Chiesa, di individuare le priorità per la propria famiglia ci fanno scegliere che stile dare alla nostra quotidianità. Uno stile che può accentuarsi negli anni dedicati alla vita in parrocchia. Per questo ci sembra che lo ‘stile’ sia connesso con le ‘sfide’ che ci stiamo proponendo di vivere, con i ‘sogni’ che abbiamo per noi e per la Chiesa ed il mondo di domani.
A partire dalle esperienza concreta, proveremo a rispondere a queste due domande:
Quali sfide stiamo vivendo nell’aver messo casa in parrocchia?
Quale ‘stile’ di vita ci siamo dati e quale stile di relazione con gli altri ci è chiesto?
Alcuni spunti per lasciarci ispirare:
Un buon servitore di Gesù Cristo
6Se darai queste istruzioni ai fratelli nella fede, tu sarai un buon servitore di Cristo Gesù; mostrerai di essere stato nutrito dalle parole della fede e dalla buona dottrina che hai seguìto. 7Non dare ascolto a favole stupide e insensate.
Allenati continuamente ad amare Dio. 8Allenare il corpo serve a poco; amare Dio, invece, serve a tutto. Perché ci garantisce la vita quaggiù e ci promette la vita futura. 9Questa è una parola sicura, degna di essere accolta e creduta. 10Infatti noi lavoriamo e lottiamo, perché abbiamo messo la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, soprattutto di quelli che credono.
11Queste sono le cose che tu devi raccomandare e insegnare.12Nessuno deve avere poco rispetto di te perché sei giovane. Tu però devi essere di esempio per i credenti: nel tuo modo di parlare, nel tuo comportamento, nell’amore, nella fede, nella purezza. 13Fino al giorno del mio arrivo, impègnati a leggere pubblicamente la Bibbia, a insegnare e a esortare.
14Non trascurare il dono spirituale che Dio ti ha dato, che tu hai ricevuto quando i profeti hanno parlato e tutti i responsabili della comunità hanno posato le mani sul tuo capo. 15Queste cose siano la tua preoccupazione e il tuo impegno costante. Così tutti vedranno i tuoi progressi. 16Fa’ attenzione a te stesso e a quel che insegni. Non cedere. Facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.
Dalla sintesi del convegno Ecclesiale di Firenze (2015) – ABITARE:
In tutto questo però, non si parte da zero. Il cammino ulteriore che ci attende è un cammino che le nostre comunità locali stanno facendo da tempo, andando incontro alle esigenze dei vari territori. Lo fanno, consapevoli che l’abitare, per il cattolico, è anzitutto un “farsi abitare da Cristo”, perché solo a partire da qui può essere fatto spazio all’altro.
“Abitare” è un verbo che, come viene mostrato anche nella Evangelii Gaudium, non indica semplicemente qualcosa che si realizza in uno spazio. Non si abitano solo luoghi: si abitano anzitutto relazioni. Non si tratta di qualcosa di statico, che indica uno “star dentro” fisso e definito, ma l’abitare implica una dinamica.
Ma in che cosa consistono, concretamente, queste relazioni buone che ci troviamo ad abitare, e che dobbiamo rilanciare e praticare nella vita di tutti i giorni? Esse possono venir sintetizzate da alcuni verbi[…].
Questi verbi sono: ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza.
[…] Un ultimo aspetto è la necessità di ripensare l’impegno a favore della propria comunità. […] In sintesi: ciò che emerso da tutti i gruppi è una continuazione e un rilancio dello stile sinodale. Qualcuno ha detto: La Chiesa o è sinodale o non è Chiesa. Credo che tutto ciò lo abbiamo sperimentato e verificato anche in questi giorni. Ora dobbiamo riportarlo, appunto come il lievito madre, nelle nostre realtà locali.
Lo possiamo fare se teniamo presente un aspetto che è tipico del cristiano: la capacità di sognare concretamente. Sentiamo, come parola finale, ciò che è stato detto in un gruppo, con esplicito riferimento a ciò che il Papa proprio qui a Firenze ci ha chiesto: di rileggere e applicare la Evangelii Gaudium.
Che cosa possiamo sognare, molto concretamente però, per il nostro futuro? In che cosa possiamo concretamente impegnarci? Ecco che cosa è stato detto:
“Sogniamo una chiesa beata, sul passo degli ultimi; una chiesa capace di mettere in cattedra i poveri, i malati, i disabili, le famiglie ferite [EG, 198]; “periferie” che, aiutate attraverso percorsi di accoglienza e autonomizzazione, possano diventare centro, e quindi soggetti e non destinatari di pastorale e testimonianza.
“Sogniamo una chiesa capace di disinteressato interesse: che metta a disposizione le proprie strutture e le proprie risorse per liberare spazi di condivisione in cui sacerdoti, laici, famiglie possano sperimentare la “mistica del vivere insieme” [EG, 87; 92].
“Sogniamo una chiesa capace di abitare in umiltà, che, ripartendo da uno studio dei bisogni del proprio territorio e dalle buone prassi già in atto, avvii percorsi di condivisione e pastorale, valorizzando, “gli ambienti quotidianamente abitati”, ognuna nel proprio spazio-tempo specifico e rendendo così ciascuno destinatario e soggetto di formazione e missione [EG, 119-121]”.