I fondamenti biblici della fraternità missionaria: servire, liberare, dare ascolto a tutti …e generare nuovi dinamismi.
La trascrizione dell’intervento di don Alberto Bruzzolo all’incontro organizzato dalla Parrocchia Pentecoste a Milano: “Una parrocchia dal volto fraterno: quindici anni di fraternità missionaria”.
VAI ALLA VERSIONE PDF | LA FRATERNITA’ MISSIONARIA 2001-2016
Servire e liberare
Un primo testo che volevo ricordare a voi e a me è dal Vangelo di Marco (Mc 10,43):
42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
“Non così tra voi” o anche potremmo dire: “Tra voi, miei discepoli, non deve essere così”.
Gesù distingue tra i discepoli e quelli che dominano le nazioni e le opprimono: chi vuole essere il primo, sia l’ultimo, chi vuole essere il più grande sia servo di tutti.
Gesù sta parlando di coloro che dominano il mondo, dei potenti. Nel testo si usano due espressioni: ‘spadroneggiano’ e ‘coloro che esercitano il potere’. Nel termine ‘spadroneggiano’ si fa riferimento al ‘padrone’, il ‘signore’ (termine greco kurios); con ‘coloro che esercitano del potere’ si parla invece dell’autorità (termine greco exosia).
Anche Gesù è un ‘signore’, il Kurios. Tuttavia nel capitolo 13 di Giovanni si dice: “Io che sono il Signore e il Maestro, se ho lavato i piedi a voi, anche voi…”. Gesù è quindi un ‘signore’ un po’ diverso, che non spadroneggia. Anche Gesù, si dice, ha autorità, ha potere, ma ha un potere per liberare. Le sue opere potenti sono quelle di guarire i malati, di perdonare i peccatori, di risollevarli. Anche le sue parole sono percepite come parole autorevoli. Nel capitolo 7 di Marco si dice “insegnava loro come uno che ha autorità, non come i loro scribi”. Parole che sono autorevoli, che hanno autorità perché liberano.
Questo duplice stile del servire e del liberare, credo che sia una parte importante dello stile della fraternità. Non primariamente “affinità elettive” tra chi vive la fraternità – come può essere l’amicizia – ma la scelta di uno stile di vita tra persone che di per sé non si sono scelte, ma che l’umanità o il discepolato dietro Gesù ha fatto trovare insieme.
Dalla concretezza alla tenerezza
Una fraternità tra discepoli di Gesù che immette inevitabilmente e necessariamente una fraternità universale. Come dice Christoph Theobald in Fraternità, un testo senz’altro da consigliare, una fraternità o fratellanza e sorellanza “pluridimensionale”, cioè, una fratellanza che si allarga a tutte le dimensioni della realtà che non è -lo dice anche Papa Francesco- “come una sfera ma è come un poliedro”. È formata con tante facce con colori anche diversi. La fraternità abbraccia tutte queste dimensioni della realtà: la relazione con Dio, con noi stessi, con gli altri, con la terra. Basta pensare a San Francesco che chiama fratelli e sorelle tutte le cose del mondo.
Una fraternità, quindi di servizio e liberazione, che si fa concreta, che si fa carnale, della stessa concretezza di Gesù che lavava i piedi, toccava i lebbrosi e i bambini. Gesù si faceva toccare dall’emorroissa, dalla donna intervenuta alla cena a casa di Simone.
“L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza.” scrive Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium.
Una fraternità che proprio da questa concretezza trova una ragione non solo evangelica, ma anche in un’urgenza epocale. Nel testo che ha citato Don Ambrogio il Papa ci ha richiamato alla sfida delle relazioni concrete in una società di relazioni liquide, poco solide, digitali: bisogna vivere insieme al popolo e camminare. È ‘una massa un po’caotica’ diceva il testo. Però questa è la concretezza a cui siamo chiamati nel nostro vivere insieme.
Nella fraternità qui in Italia, e anche in Perù, non solo con coppie ma anche con altri preti, io ho imparato un po’ di questa concretezza: questo appoggiarci, prenderci in braccio, questo corpo a corpo…qui parla sempre Papa Francesco. La vita anche della famiglia vissuta in fraternità mi ha aiutato molto in questo, a vivere questa concretezza della fraternità. Una fraternità anche vissuta personalmente nella tenerezza che ho sperimentato su di me soprattutto nei mesi della malattia, nei mesi dell’ospedale: dal personale dell’ospedale, agli amici, ai parenti. Mi sono augurato durante quei mesi di malattia di diventare poi anche io capace di tanta tenerezza.
Dare ascolto a tutti, dare voce a tutti
Un secondo e ultimo testo, obbligato essendo noi oggi vicino alla Pentecoste e nella parrocchia della Pentecoste. È Atti 2, 1-47.
”Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”. Io credo oltretutto che i diversi linguaggi degli uomini e delle donne sono grandi opere di Dio. Non possiamo dimenticare che nel capitolo 11 della Genesi la scrittura sembra proprio che ci suggerisca un Dio che preferisce un mondo dai tanti linguaggi piuttosto che un’uniformità. Sto leggendo un romanzo di Boualem Sansal intitolato 2084 (che rimanda a 1984 di Orwell), in cui la giusta fratellanza è quella che domina tutto il mondo uniformando: unica lingua, unico pensiero, tutti la pensano allo stesso modo. Per fortuna c’è qualcuno che inizia a pensare per conto proprio… Questo non è il mondo che sogna Dio. Nel capitolo 11 della Genesi c’è il racconto della torre di Babele: Dio sogna un mondo plurale, dove ci siano tanti linguaggi e la fede stessa si possa esprimere in mille linguaggi differenti.
Scrive Papa Francesco al punto 119 dell’Evangelii Gaudium “In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede.”
È una citazione molto bella e interessante perché parla di un tema molto caro a Papa Francesco che proviene dall’America Latina e dalla versione Argentina della teologia della liberazione che è la “teologia del popolo”. In questa teologia è molto presente l’immagine dello Spirito di Dio che è talmente democratico che è su tutti, e quindi ognuno esprime un linguaggio di fede diverso che va ascoltato, perché ‘il tutto’ non ci può che condurre a Gesù. Se volete possiamo leggere in questa direzione tutta la metodologia un po’ lunga e anche un po’ farraginosa dei due Sinodi sulla famiglia: bisognava ascoltare tutti, dar voce a tutti, ma proprio tutti.
Questa universalità apre un’altra riflessione ed un’altra fase della fraternità che è quello dell’ascolto.
La mistica della fraternità, lo dice il Papa, si nutre dell’ascolto dell’altro e della sua esperienza di fede. La fraternità lascia la parola all’altro, da parola a tutti. Lo stile fraterno è lo stile di chi si lascia sorprendere dalla varietà e dalle forme di fede e le valorizza come Gesù, ancora una volta, che valorizza la fede della Samaritana, dell’emorroissa, della donna siro-fenicia, del centurione, dei bambini, … e se ne lascia istruire lui stesso.
Nella fraternità anche io ho imparato la fede degli altri, degli altri preti, delle altre vocazioni come ricchezza per la parrocchia che a sua volta deve plasmarsi con la fede di tutti e con la sensibilità di tutti.
Ho imparato anche il principio della sinodalità che nasce appunto da questa seconda riflessione. La Chiesa deve proseguire e andare avanti nel prendere decisioni sempre più in comunione con tutti, nella forma sinodale, insieme.
Il tempo piuttosto che lo spazio
Volevo concludere con un’ultima citazione di Papa Francesco: “È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti”.
E anche questo mi sembra uno stile preciso di essere Chiesa.