Qualche ritaglio dalle letture estive per iniziare l’anno…lasciando la porta aperta. Buona lettura!
SAPER VEGLIARE, SAPER ACCOGLIERE
“Sto alla porta” (Ap 3, 20). Questa è l’invocazione “Signore, vieni”. Tu che stai davvero alla porta, tu che come amico stai bussando per entrare, fatti avanti, vieni! Non voglio più farti attendere, mi sono accorto di te, vengo ad aprirti con gioia! […]
Molti eventi, certo, battono alla mia porta: per tante cose mi è chiesto di avere tempo e in tanti modi mi viene offerto di condividerlo e di cederlo. Nel tempo della nostra esistenza qualcuno bussa sempre alla nostra porta e questo bussare, nei momenti decisivi, ci appare enigmatico e anonimo. […]
Qualcuno bussa alla mia porta per dividere il suo tempo con me e dare al mio tempo una dignità e una prospettiva che mai avrei osato sperare. Se imparo a coltivare l’attesa, a vivere il tempo sostando nella affettuosa contemplazione del Signore, come fa la Sposa, e nell’operoso ascolto dello Spirito, che risveglia le membra intorpidite dall’ombra della morte, posso fare ben più che sopravvivere alla paura e fronteggiare l’angoscia. Posso vegliare su ciò che ho di più prezioso, custodendo i valori che ho già imparato ad apprezzare, arricchendo i talenti che mi sono stati affidati.
Nella prospettiva del Signore che viene, il tempo si dilata, Si ricompone nella pace, assume qualità e prospettive che riconciliano gli affetti del cuore con la sapienza delle cose. […]
…il Signore viene a sua volta nella nostra casa, viene a bussare alla porta della nostra vita, viene a incontrarci nei luoghi e nei tempi della nostra esistenza quotidiana, viene per offrirci o per rinsaldare un vincolo di amicizia. Dobbiamo imparare a coniugare insieme i due aspetti: noi ci presentiamo alla casa del Signore per essere da lui accolti e però prima il Signore si presenta alla nostra casa per essere accolto nei luoghi della nostra esistenza. Il bussare del Signore alla porta ha tuttavia un significato molto più grande; è il volerci fare partecipi del suo tempo, della sua vita, della sua eternità. C.Maria Martini, da Sto alla porta e busso Leggi tutta la lettera pastorale>>
La fraternità che spesso sogno è qualcosa di molto semplice, un’oasi di pace dove possano riposare Dio e l’uomo. L.Verdi, dal Giornalino della Fraternità di Romea Leggi la rivista>>
CONDIVIDERE LA VITA
La differenza tra carità e accoglienza sta, per noi, nel fatto che spesso la carità è intesa come dare qualcosa (un po’ di tempo, dello spazio, qualche competenza) mentre l’accoglienza è condividere la propria vita, semplicemente e apertamente. A chi veniva da noi non abbiamo mai saputo offrire un aiuto di tipo specialistico, anche se qualcuno ci ha aiutato in questo, quando necessario. Ma una casa, una tavola, un camino col fuoco acceso, un posto accanto a noi nel lavoro, tempo da trascorrere insieme: la vita insomma.
In questo senso, direi chela comunità di famiglie ha fatto bene a chi sta male perché è un posto dove, se vuoi, c’è gente che vive una vita insieme e se tu ci stai, c’è un posto.Per un anno, per dieci, per quanto serve. Quello che siamo (avere non abbiamo molto) lo diamo tutto gratis e questo fa bene a tutti. […]
Ricordo l’arrivo, non troppo tempo fa, di una ragazza africana, rwandese. Qualcuno diceva: “bisogna trovare qualcosa da farle fare”. E io”Calma, aspettiamo. Lasciamola ambientare, ascoltiamola e facciamo conoscere”. La fretta di fare per gli altri, e di far fare loro qualcosa, rivela spesso un certo modo di pensare più che all’accoglienza alla “carità”.
Ecco, se posso osare un pizzico di teoria, direi che già a Villapizzone il nostro intento non è mai stato quello di metterci insieme per fare meglio la carità a gente bisognosa ma di creare una comunità accogliente che, vivendo l’accoglienza come dimensione di vita normale e basando su ciò una diversa qualità della vita, sa essere accogliente con tutti, anche con chi è sofferente.
Bruno Volpi, da una pubblicazione sulla comunità di Villapizzone. Vai ai titoli dei libri>>