Verso la giornata del 4 Settembre…
…una riflessione di Betta Sormani dalla pagina FB di Comunità e Famiglia (da visitare!)
Convivialità è quotidianità, è leggerezza, è naturalezza.
È impegno a tenere gli occhi e le orecchie aperti.
È sostegno al legame tra le persone, è collante, costruisce la relazione goccia a goccia.
È strumento per superare le crisi e i momenti difficili, in punta di piedi.
È ascolto dei tempi degli altri: come non creare altrimenti diverse velocità? È guardare alle piccole cose.
È cura della comunità. È sostanza. È imparare dai bambini, dalla loro naturalezza nelle relazioni quotidiane. Spesso sono i bambini che tendono fili di comunicazione fra le persone.
È perdere tempo? È investire il tempo, per farlo fruttare meglio. È perdere tempo come perde la semente chi semina. Vivere il cortile costruisce la comunità.
È il tempo la vera ricchezza, in quantità e qualità. Convivialità richiede anche dei tempi definiti, delle occasioni che si ripetono: il caffè? l’happy hour? il rientro la sera dal lavoro? la merenda dei bimbi? la preghiera? un week end lungo al mese di lavoro insieme? una cena settimanale? Il filo conduttore di tutto resta il quotidiano che dà sapore e significato a ciò che si vive. Convivialità è cogliere le occasioni al volo: per mangiare insieme, per accogliere insieme i gruppi che arrivano, per lavorare insieme, e per ritirarsi quando è il momento giusto.
Convivialità è occasione di apertura verso chi passa ed entra in cortile. L’ordinarietà della convivialità è in realtà un’esperienza straordinaria e lo si vede bene nella vita cittadina di condominio, ove il ritmo della vita «ruba la possibilità dell’incontro». Ma anche in condominio, quello in cui ci si è trovati a vivere, è possibile e sperimentabile. Si tratta di creare occasioni, vivendo momenti insieme tutti sono più sereni. Fare cose insieme, passare tempo insieme.
Come modulare i desideri di tutti? C’è chi s’incontrerebbe sempre e chi non s’incontrerebbe mai. Trovare i tempi è un percorso: si prova, si cerca, ci si aiuta e ci si ascolta in questo. Perché è difficile? Perché richiede tempi e spazi. Perché nella relazione quotidiana svela a ognuno la propria pochezza e la propria miseria.
Perché obbliga all’ascolto, allena l’ascolto reciproco.
Perché fa rallentare o accelerare: richiede cambi del proprio ritmo.
Perché rimanda all’interiorità di ciascuno: il punto di partenza sono io che mi apro per andare incontro all’altro. Perché richiede discrezione. Perché richiede impegno: talvolta è «imporsi di incontrare l’altro».
È come andare in montagna con altri: le mie forze e la mia fatica non sono le uniche con cui fare i conti.