La morte. Questo è ciò a cui assistiamo in questi giorni. Ad oggi si contano 13915 morti, migliaia di persone. Non solo numeri. Sono amici, parenti, conoscenti che hanno lasciato la vita.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. San Francesco d’Assisi
Il primo pensiero va al momento del “passaggio”: la malattia sta impedendo a molti di loro di poter salutare i loro cari, molti sono morti “soli”. La morte ci appare in questi giorni con un volto che sembra terribile: quello di un contagio che sembra quasi casuale e che costringe tutti all’isolamento. C’è la solitudine di chi muore e di chi vorrebbe consolare, stare accanto.
Come si possano accompagnare questi fratelli e sorelle al momento della morte? Come stare vicino a chi vive il lutto di amico o di un parente? E’ possibile, anche quando le emozioni sono così forti, guardare alla morte come un passaggio naturale della vita? In un momento in cui la morte colpisce in modo così misterioso, siamo richiamati a ri-conoscere che “il Signore ci attende” , che ci tiene per mano in questo passaggio verso la vita-che-non-finisce.
Il secondo pensiero dunque è a ciò che ci aspetta dopo la morte. 13915 fratelli e sorelle: dove sono ora? Come ri-annuciare anche a noi stessi il senso nuovo che l’esperienza della morte ha, dopo la Resurrezione di Gesù?
Nell’esperienza di Gesù possiamo trarre forse anche questo: la possibilità – la libertà- di guardare in faccia la morte e le domande ultime sulla vita e sulla sua fine. Una riflessione aperta, densa di mistero e di dolore, ma con un esito già promesso: che l’Amore vince la morte, che nulla di ciò che è stato va perduto, che un giorno ci reincontreremo nella Sua luce.
Siamo nati e non moriremo mai più. Chiara Corbella Petrillo
Ci aiuta ancora una volta Suor Enrica Bonino, che ha scelto con noi alcuni passi per riflettere:
IDEE. Morire, l’ultima obbedienza che ci fa più uomini, testo di Enzo Bianchi
La morte è rimossa, è diventata l’unica realtà concretamente «oscena», che non deve cioè essere vista, contemplata, considerata. Oggi vogliamo evitare di essere testimoni della morte, che tuttavia continua a essere presente nelle nostre vite familiari e di relazione; soprattutto, vogliamo evitare di pensare alla nostra propria morte, che è l’unico evento certo che ci sta davanti. […]
La mia generazione ha ancora ricevuto dalla grande tradizione cristiana il consiglio spirituale dell’esercitarsi a morire, del prepararsi all’evento finale, del vivere la morte. La morte era un tema di meditazione, non funereo, non dolorista, ma andava pensata come «ora» che ci attende, ora del giudizio di Dio su ciascuno di noi, incontro con il volto di Dio tanto cercato. Nella memoria mortis c’era una tristezza, quella di dover morire; c’era il timore di Dio (cosa diversa dalla paura!), per il suo giudizio che è misericordia ma anche giustizia; c’era la consolazione per l’incontro definitivo con il Signore, la vita eterna. Enzo Bianchi Continua a leggere su avvenire.it/
La vita è una prefazione alla morte, la morte è una prefazione all’amore. Madeleine Delbrel
LA TESTIMONIANZA. Il teologo Chiodi: così affronto il male in ospedale
Covid-19, la malattia da coronavirus, è senza dubbio un’esperienza di passione e di morte, anche se non necessariamente essa si conclude con la morte personale. È un’esperienza di morte perché, come pandemia, coinvolge potenzialmente tutti. Il Covid-19 è un nemico insidioso, che si insinua, nascosto e a tua insaputa, nel tuo corpo, al punto che lo puoi trasmettere anche se non sai di averlo. Ci sono zone del nostro Paese che stanno vivendo situazioni drammatiche e sconvolgenti, esperienze quasi di morte collettiva. […] E poi ti domandi: perché l’altro e non me? E perché sono stato colpito io e non l’altro? Insieme a questi, sorgono molti altri interrogativi, che riguardano il contagio, il prima e il dopo: ho rischiato certo, nel continuare la mia vita normale quando già l’allarme circolava, e il mio è stato un rischio prudente?
Tutte queste esperienze di patimento e di morte, per noi credenti, e per ciascuno a modo suo, sono un modo per vivere la passione di Gesù, stando in comunione con Lui. Il Getsemani, il dolore che lacera il corpo, la solitudine della croce, l’impossibilità di condividere e comunicare con gli altri, l’incomprensione, il “sentirti fuori”, come scartato ed emarginato da una comunità che ringrazia, canta e loda, perché in quel momento tu non puoi farlo. Continua a leggere su avvenire.it
RE-BLOG. Solitudine dell’uomo, solitudine di Dio di fra Timothy Radcliffe
L’isolamento può essere più terribile della morte. Tutti dobbiamo morire, e per molti la morte giunge come un atteso sollievo. Ma l’isolamento mina la nostra stessa umanità: i nonni sono isolati dai loro nipoti, gli innamorati vengono separati l’uno dall’altro. La nostra vita è fatta di contatti reciproci: da quelli minimi a quelli più intimi. In un romanzo di Jonathan Safran Soer c’è un personaggio che dice: «Toccarlo era molto importante per me. Vivevo per quello. Non saprei spiegare perché. Contatti da poco, insignificanti. Le mie dita sulla sua spalla. Le nostre gambe che si sfioravano schiacciati sull’autobus». Ora, minacciati dal coronavirus, un contatto vitale può diventare mortale. […]
La sera prima di ripartire sono andato al Santo Sepolcro a Gerusalemme e ho visitato la tomba dove si ritiene che Gesù sia stato deposto per tre giorni. Al cuore della fede cristiana c’è un uomo morto in totale isolamento. È stato innalzato sulla croce al di sopra della folla, senza più alcun contatto, trasformato in un nudo oggetto. È sembrato persino che si sentisse separato dal Padre e le sue ultime parole, secondo i Vangeli di Marco e di Matteo, sono state: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». In quel momento egli non ha solo abbracciato le nostre morti. Egli ha fatto del tutto sua la solitudine che tutti noi, talvolta, sopportiamo e che milioni di persone stanno oggi vivendo. Continua a leggere su re-blog.it
CONFINI. Alla ricerca di un senso a questi giorni… Intervista a Ivo Lizzola
…Certo si muore sempre soli. Ci si lascia, ma ci si può lasciare accanto, in mani care, sentendosi di qualcuno. In questi giorni madri e padri sono morti senza aver più visto figli e figlie, da loro separati. Quanto è vero quel desiderio di ognuno di sentire ancora, infine, il tocco di quando siamo nati, accolti dal palmo di una mano, che ci ha sorretti, puliti, dondolati. Così siamo stati “messi al mondo”. Speriamo di sentire quel palmo sul volto morendo. Oggi per molti, per troppi non si dà.
Non ci resta che sperare, ed è struggente pensare che qualcuno là in una stanza di una Terapia intensiva si ricordi di quella cura e che porti il suo palmo sul nostro, pure se è sconosciuto. Che lo faccia in nome di quella concreta umanità che si è manifestata proprio in quella persona, nella sua vita che adesso finisce. Non possono esserci i parenti? Però ci sei tu, e allora ccarezzalo, tienigli la mano. Solo questo può lenire la fatica, per chi lo ha amato, della distanza. Quando noi fossimo sicuri di questo, potremmo ringraziare comunque la vita, il fatto che siamo gli uni dagli altri.
È possibile che la solitudine inevitabile non sia un abbandono straziante ma un affidamento; non sia la solitudine dell’abbandono ma un incontro tra poveri.
[…] Ci sono esperienze che possono essere risvegli. Esperienze limite, immaginali e di scelta, di intuizione conoscitiva e di conversione, e durano un passaggio. Per aprire un nuovo inizio quel passaggio deve diventare una soglia, che introduca a un nuovo viaggio, sorretti dalla speranza in una “ulteriorità”, in un nuovo inizio. Leggi su confini.blog.rainews.it/
DOMANDA. Come può la morte essere sorella? Ne scrive Milvia Bollati
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare.guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali,
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,ka la morte secunda no ‘l farrà male. (dal Cantico delle creature di S. Francesco)
Noto come nel Cantico Francesco ricorra solo in due occasioni all’espressione “sora nostra”, la prima riferendosi alla terra “Laudato si, mi Signore, per sora nostra madre Terra, la quale ne sostenta e governa, e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba” e la seconda in relazione alla morte del corpo. Entrambe sorelle, nostre sorelle, la Terra madre e la morte corporale. “La morte è il supremo atto di fiducia nella bontà del reale, nonostante lo scomparire dell’individualità” (Carmine Di Sante). Forse solo così è possibile abbracciarla e come Francesco chiamarla sorella. Continua a leggere su sanfrancescopatronoditalia.it/
L’uomo, destinato a morire, si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l’uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Sant’Agostino