Del primo Natale in Ciad ricordiamo la sorpresa di stare in maniche corte; i regali che aspettavamo dall’Italia (poi arrivati all’Epifania per disguidi postali), la Messa di Mezzanotte celebrata alle sette di sera perché era poco prudente per la gente circolare in città con il buio… Ma soprattutto lo stupore di avere anche noi un bambino piccolo, che ci ha fatto avvertire la forza di un segno così debole, eppure così capace di toccare i cuori. Abbiamo capito in quel momento che la nostra missione come famiglia non consisteva tanto nel “fare”, quanto piuttosto nel condividere, nello “stare con”». Sono passati cinque anni, da quando Marta e Marco Ragaini sono rientrati in Italia dopo sei anni in Ciad. Ma l’esperienza vissuta come famiglia missionaria non si cancella, anzi continua nella quotidianità della loro esistenza, adesso che hanno messo radici a Quarto Oggiaro, periferia di Milano.
A N’Djamena, la capitale del Ciad, i Ragaini – che oggi hanno tre figli – hanno vissuto in fraternità con un’altra famiglia e due sacerdoti. «Caratteristica fondamentale della nostra esperienza è stata la dimensione comunitaria, tra vocazioni diverse, uomini e donne, celibi e sposati. Una vita fraterna autentica, fondata sulla parola di Dio e orientata alla missione e al servizio alla Chiesa locale, vissuta in uno stile di piena corresponsabilità». da Avvenire del 30/12/20015
Storia e stile della Fraternità Missionaria
La presenza della fraternità missionaria a N’Djamena ha avuto inizio nel 1995 con don Aldo Farina (proveniente da una precedente esperienza di sei anni in Cameroun e rientrato nel 2004 in Italia) e Marta e Marco Ragaini (rientrati definitivamente nel 2001), tutti della diocesi di Milano.
Tre anni dopo sono arrivati Emanuela e Paolo, poi don Francesco e don Marco Giovannoni, della diocesi di Firenze.
Questa esperienza è stata resa possibile dalla collaborazione delle diverse diocesi di provenienza con il Centro Fraternità Missionarie di Piombino , un centro che si occupa di formare e accompagnare fraternità di questo tipo, in collaborazione con le diocesi.
Oltre a quella di N’Djamena, esiste un’altra esperienza simile aChibututuine in Mozambico.
L’impegno missionario si svolge innanzitutto nella testimonianza di una vita cristiana, fraterna, accogliente, semplice…
Uno stile di vita, più che una serie di attività.
Rispondendo ai bisogni della diocesi di N’Djamena, poi, la fraternità si è assunta la responsabilità pastorale della parrocchia della Santa Famiglia, delle 9 comunità di base che la compongono, della formazione dei numerosi laici responsabili di diversi ministeri…
Emanuela e Paolo hanno inoltre scelto di mettere a disposizione di tutti le loro competenze mediche lavorando accanto ai numerosi malati di Aids e nel reparto di pediatria del vicino ospedale pubblico.
La vita fraterna si costruisce intorno alla Parola di Dio, letta e pregata insieme, al confronto reciproco sulle scelte importanti della vita missionaria, al tempo passato insieme (anche quello della cena o di momenti informali) che diventa occasione di scambio.
Le diverse sensibilità dovute al fatto di essere uomini e donne, laici e preti, celibi e sposati sono così una ricchezza da condividere.
Ma la fraternità non sarebbe autentica se non si aprisse a una reale fraternità con la gente del quartiere, non solo i cristiani che frequentano la parrocchia, ma i numerosi musulmani (che in città sono il 75% della popolazione) e i credenti delle religioni tradizionali.
Si tratta di una vicinanza fatta spesso di atteggiamenti semplici: la disponibilità a dedicare tempo all’ascolto delle persone, in cui è “specialista” don Francesco, lo stile di dedizione al malato che è uno dei tratti distintivi di Emanuela e Paolo, la simpatia che suscita la presenza di una famiglia con bambini…
Importante, da questo punto di vista, la testimonianza di una vita sobria, che sa fare a meno di molti confort per guadagnare in capacità di accoglienza.