Un’esperienza interessante. Ma mi chiedo: perché in tutte le altre situazioni è così difficile che un prete viva insieme a una famiglia?
di Roberto Beretta | 29 febbraio 2016 da ROBE DI RO.BE., rubrica di Vinonuovo.it
Roberto Beretta, giornalista e saggista. Ha scritto una ventina di libri, tutti di argomento religioso, di «destra» (Storia dei preti uccisi dai partigiani , Il lungo autunno, controstoria del Sessantotto cattolico ) e di «sinistra» (Chiesa padrona ,Le bugie della Chiesa ). L’ultimo è appena uscito e si intitola La santa puttana. È assessore alla trasparenza e alla sicurezza della sua città, Lissone, per una lista civica. Ha due figli e ancora una gran voglia di dire la sua.
Un amico mi racconta un’esperienza interessante; una grande diocesi del Nord ha aperto una casa per preti «in crisi» (ce ne sono tante in giro), ma stavolta con una caratteristica particolare: lì i sacerdoti vivono in una normale famiglia, vengono «adottati» cioè da una coppia e abitano con essa e i loro figli, in un contesto del tutto quotidiano.
Mi è venuto un sorriso: devono dunque andare «in crisi», i poveri preti, per poter sperare di tornare a vivere in una famiglia… Finora infatti avevo sentito di istituti religiosi particolarmente dedicati alla cura dei sacerdoti che patiscono problemi con la loro vocazione, di gruppi di mutuo aiuto tra parroci etilisti, di psicoterapie per preti con patologie sessuali, e così via. Che bello ora sapere che qualcuno ha trovato «terapeutico» un ambiente quotidiano come quello familiare, con la sua routine e i suoi alti e bassi, per persone che professano il celibato e per status sono condannati a vivere solitari.
Però mi chiedo ancora: ci voleva tanto? Che ai nostri sacerdoti sia richiesto di rimanere scapoli, forse si può capire o addirittura giustificare, almeno storicamente; ma per abitare da soli, quale ragione esiste? Perché le canoniche, tanto spesso vaste e silenziose, devono «per forza» restare semi-disabitate; perché non si aprono le porte di conventi e parrocchie alle famiglie, ai bambini, alla vita?
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