Il 5 settembre L’Arcivescovo Mario ha ordinato in Duomo 23 nuovi presbiteri e offerto una preziosa riflessione sulla riforma del clero e della chiesa attorno a tre temi: la gioia di chi dimora nello stupore, il volersi bene, la condivisione.
Riportiamo qui l’omelia:
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Perché il mondo creda
L’originalità provocatoria di una risposta.
Esprimo la mia gratitudine ai diaconi candidati al presbiterato che si presentano oggi per
l’ordinazione, esprimo la mia gratitudine e la gratitudine di tutta la comunità cristiana e diocesana a loro e a coloro che li accompagnano oggi e li hanno accompagnati fin qui: i familiari, le comunità di origine, le comunità di destinazione pastorale, la comunità del Seminario, gli amici.
Esprimo la mia gratitudine a tutti coloro che hanno atteso questo momento e che si preparano a fare festa per questo evento secondo quanto le circostanze consentono.
La mia, la nostra gratitudine ha la sua ragione nell’originalità provocatoria della risposta alla
chiamata della Chiesa e del vescovo. Il vescovo infatti chiama perché cerca i collaboratori di cui ha bisogno per continuare la missione.
Stiamo celebrando un evento che è motivo di meraviglia e di gratitudine perché smentisce le
visioni deprimenti che talora si esprimono sul tempo che stiamo vivendo. Molti parlano di questo tempo come un tempo stremato dalla fatica di sopravvivere, assediato da problemi insolubili, spaventato dalle incertezze sul futuro, invecchiato nel suo egoismo sterile, suscettibile e impigliato in infiniti, meschini litigi.
Io non so com’è il nostro tempo. Vedo, però, qui, un gruppetto di uomini, adulti, liberi, consapevoli, confortati dal discernimento condotto in questi anni che si fanno avanti e dicono: sì, io voglio vivere la vita come un servizio, in nome di Dio, seguendo Gesù; sì, io voglio entrare a far parte di questo clero per vivere in fraternità, in nome di Dio, obbedendo al comandamento di Gesù;
sì, io per entrare in questa fraternità scelgo di vivere relazioni caste, di non costruire una famiglia, di essere celibe, secondo quanto mi chiede questa Chiesa; sì, io per collaborare con il Vescovo e il clero alla missione scelgo di obbedire nell’andare dove sono mandato, nel tradurre in pratica le linee pastorali di questa comunità diocesana; sì, io dichiaro di fidarmi di Dio, di scegliere di essere docile allo Spirito di Dio che mi dà e mi darà sapienza e fortezza, di cercare ogni giorno di essere alla presenza del Padre per compiere la sua volontà, imitando Gesù.
Questi uomini che si fanno avanti e dicono questo “sì” non vengono da un altro pianeta, ma
da questa nostra terra; non sono eroi senza paura, non sono santi senza peccato, non sono personalità ineccepibili sotto ogni aspetto. Sono, come tutti, peccatori che chiedono il perdono,
persone fragili che riconoscono le loro paure, libertà incompiute che cercano la liberazione dalle meschinità e dalla tentazione di ripiegarsi su di sé. Sono uomini che nella loro grandezza e nella loro piccolezza dicono che questa terra, questa Chiesa, questo tempo è tempo di grazia, è una terra benedetta, è una Chiesa feconda che genera persone liete di fare della loro vita un dono. E questa originalità provocatoria non è uno spettacolo da applaudire, ma una provocazione da raccogliere. Ciascuno quindi può dire a se stesso: “Dunque anch’io posso”, “anche in questa situazione, mi può raggiungere una proposta, una indicazione, una illuminazione”.
Vivere della gloria ricevuta.
Sì, questa ordinazione sigilla una storia di discernimento e di formazione che diventa una decisione definitiva. Ci sono buone ragioni per fare festa, per applaudire, per ammirare questi uomini che con tanta solennità entrano nel ministero.
Ma la ragione profonda della nostra festa è la manifestazione della gloria di Dio, la potenza della preghiera di Gesù: la gloria che hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Sono chiamati per ricevere un dono, prima che un incarico.
Saranno adatti al ministero se vivono di questa gloria ricevuta. Hanno molte qualità e si sono ben preparati, ma non possono fare niente se non rimangono disponibili e vivere in Gesù, come Gesù vive nel Padre.
Questa radicale dipendenza dal dono è una verità che rimane troppo spesso nelle espressioni
convenzionali, senza strutturare la libertà delle persone nella forma della gratitudine e della docilità.
Se invece, come spero e come auguro, la decisione di accogliere la vocazione della Chiesa a
diventare preti si lascia configurare alla gloria ricevuta, allora possiamo sentirci alleati nella riforma della Chiesa che questi tempi esigono.
a) Coloro che ricevono la gloria che il Padre ha dato al Figlio, dimorano nello stupore e vivono di gratitudine. Il ministero che rinnova e riforma la Chiesa si esprime nel condividere lo stupore e nel convocare i molti per cantare la gratitudine.
Non siamo gente ingenua, ma siamo discepoli sapienti: ci è stato dato di valutare quanto sia grande, bello, eterno il dono di Dio.
La Chiesa ha bisogno della riforma che la renda lieta, grata, capace di irradiare gioia, perché vive del dono che riceve. La missione che alla Chiesa è stata affidata, perché il mondo creda non si può compiere con la pretesa di convincere, con l’esibizione di una intraprendenza che si raccomandi perché capace di supplire alle inadeguatezze delle altre istituzioni, con una efficienza che conquista perché soddisfa a dei bisogni, e pratica la carità come una dimostrazione invece che come una intima necessità e come restituzione di un debito.
La missione della Chiesa perché il mondo creda è affidata anche ai presbiteri oggi ordinati, ma è affidata a tutta la comunità, sulle vie della condivisione della gioia e della speranza.
b) coloro che diventano credenti, e quindi partecipano della gloria che il Padre ha dato al Figlio, diventano un cuore solo e un’anima sola. Lo Spirito di Dio, la gloria di Dio raduna tutti nella comunione che è di per sé segno della presenza di Dio, perciò invito alla fede: Tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
Un tratto irrinunciabile della riforma della Chiesa è che diventi evidente questa comunione
profonda e si manifesti in un segno che il mondo possa comprendere: i discepoli di Gesù sono
capaci di volersi bene, di stare insieme e di trovare gioia nella fraternità che li unisce.
Questa comunione che raduna tutti i credenti deve manifestarsi nel presbiterio. Tra i preti, tra i preti e il Vescovo e i diaconi si deve riconoscere il volersi bene profondo e ordinario. Sarebbe
paradossale che i servitori della comunione ecclesiale, cioè i membri del clero, non si vogliano bene in modo evidente. Sarebbe sconcertante se gli uomini che predicano ai fedeli di amarsi e perdonarsi, che parlano dell’amore che unisce marito e moglie, genitori e figli, fratelli e sorelle, si rivelassero individualisti, litigiosi, divisi tra loro.
Per il percorso di riforma della Chiesa io conto su di voi, ordinandi di oggi e su tutti voi presbiteri e diaconi di tutte le età per questo segno irrinunciabile che è la sincerità dell’amore fraterno.
c) Per una comunione dei cuori e delle anime è necessaria la comunione di tutto quello che ciascuno possiede. Nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
La condivisione dei beni non è tanto la rinuncia al titolo di proprietà, quanto l’effettiva disponibilità a servire la comunità con tutte le proprie risorse. Nel libro degli Atti sembra che la priorità sia data ai beni materiali. Ma nella riforma della Chiesa più che la cassa comune è essenziale la rinuncia alla rivendicazione dei propri punti di vista, all’ambizione del protagonismo che esibisce la propria originalità invece della pazienza di decidere insieme, operare insieme, attuare insieme le priorità pastorali che impegnano tutta la comunità. E’ necessaria la vigilanza di tutti e la correzione fraterna perché l’autoreferenzialità non diventi inappellabile, la preferenze non diventino puntigli, le sensibilità particolari non diventino criterio di estraniazione dal cammino di Chiesa.
Siete stati chiamati e siete venuti, siete stati preparati e conosciuti e ora siete mandati: siate grati, siate lieti, non siate attaccati a quello che è vostro, al vostro punto di vista, per essere in verità un cuore solo e un’anima sola perché il mondo creda.