Sintesi degli interventi tenuti a Padova e Treviso il 12 e 13 Gennaio 2019
Indice:
1.UNA CHIESA CHE SA CAMBIARE.Vai>>
2.DA ALCUNE INTUIZIONI PERSONALI AD UN CAMMINO DI CHIESA. Vai>>
3.RISONANZE E PAROLE CHIAVE Vai>>
4.IL GRUPPO FAMIGLIE MISSIONARIE A KM0: STORIA, METODO E STILE – Vai>>
UNA CHIESA CHE SA CAMBIARE
Intervento di mons. Luca Bressan, Vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale della diocesi di Milano
Il tornante storico: osservazione della situazione attuale
Con gli occhi della fede siamo di fronte ad un discernimento, un kairòs: siamo chiamati a capire come lo Spirito continua a guidare il suo popolo anche nel cambiamento.
Qualche numero: la diocesi di Milano ha 5 milioni e 200mila abitanti circa, poco meno di un decimo dell’Italia, abbiamo 1100 parrocchie, i preti fino a 10 anni fa erano più di 2000, adesso siamo poco più di 1900, inoltre il seminario fatica a mantenere una media di 20 ordinazioni all’anno.
Facendo i calcoli se mettiamo tutti i preti in parrocchia potremo cambiare un parroco ogni 50 anni, intuite che è un accorpo che non va avanti e da cui può conseguire una minore capacità di presenza comunitaria sul territorio e di un Vangelo che permea la vita.
Altro dato: dal dossier per presentare la diocesi al Papa quando è venuto a Milano, abbiamo riscontrato che la diocesi in 10 anni ha perso 10 mila battesimi, nel 2006 certificavamo poco più di 30mila battesimi, nel 2016 poco meno di 21mila. Il problema non è dove sono i 10mila che mancano (molti sono bambini che non nascono, stiamo vivendo un suicidio demografico) però ci interessa vedere come dimagrisce il corpo ecclesiale, come la chiesa legge tutto questo? Intuite il rischio della nostalgia e del ripiegamento che è abbastanza forte. Invece veniamo da un periodo che è davvero una benedizione, un dono del Signore.
Provate a rileggere tutti gli anni dal post concilio in qua: la Chiesa italiana ha percorso un cammino di affinamento della propria coscienza ecclesiale e della propria esperienza di fede che è senza precedenti: davvero in pochi altri momenti della Chiesa c’è stato un progresso e una capacità di affinamento dell’esperienza, di proposta di educazione alla fede e di crescita anche nelle famiglie. Da una parte abbiamo una Chiesa che davvero ha imparato a vivere la fede e goderne dei frutti in un modo davvero straordinario, ma siamo di fronte ad un tornante perché ci accorgiamo che quell’epoca lì sta finendo.
La domanda è che: cosa fare? Rimanere arroccati a difendere il più possibile l’immagine e il corpo di Chiesa che abbiamo ereditato non fa che accelerare il cambiamento e quando arriverà
La sfida: non riorganizzare ma contemplare
Quale sfida abbiamo in mano? Qual è il bello della Chiesa che è giusto che consegniamo ai posteri?
Tutto sommato noi abbiamo potuto vivere un affinamento della fede, della capacità di crescere nella fede, di godere dei frutti del concilio, di imparare a pregare ascoltando la parola di Dio perché c’è stata una generazione, quella della prima parte del XX secolo, che ha saputo incarnare bene la fede nel quotidiano, uno stuolo di preti e di consacrati/e e di religiosi/e.
La prima inchiesta fatta in Italia a livello sociologico e religioso mostra che alla fine degli anni ’50 c’era una persona consacrata ogni 198 persone (questo soprattutto dovuto al numero di suore che avevamo) che permetteva alla gente di vedere che c’era qualcosa di concreto e di vivo perché vedeva come i frutti del Vangelo cambiavano loro la vita, c’era una fede che si incarnava nel quotidiano senza bisogno di raccontarla, magari erano meno educati di noi dal ponto di vista teologico, però avevano una capacità di spendere la fede e far vedere come fruttificava che era senza precedenti.
Tornando ai numeri di cui sopra, il mio compito di vicario è di evitare che quel dimagrimento del corpo ecclesiale significhi anche una diminuzione della vicinanza alla gente. Garantiamo cioè la presenza di un parroco che dice la messa, ma il parroco non è lì: quanto la gente lo sentirà vicino e potrà dire di potersi confidare con lui e cambiare? Inoltre, un corpo ecclesiale diminuito ha portato col tempo anche un impoverimento culturale che non permette più di avere argomenti per interpretare quel che si sta vivendo secondo un’ottica cristiana ed in questo deserto si è verificata una trasformazione di pensiero e di mentalità. Non basta quindi garantire, nella riorganizzazione, la presenza di un prete, ma occorre chiedersi chi ha intorno quel prete, come animano la vita di tutta la gente, come la stanno leggendo in quel territorio per capire come rispondere, come sanno correggere le risorse per capire cosa ci viene donato nel cambiamento (vedi sinodo dalle genti: saper riconoscere risorse e ricchezze dei cristiani che vengono da altre nazioni, i doni che lo spirito ci manda). Ci sono forme di incarnazione della fede che noi dobbiamo imparare e guardare.
Cosa vediamo nella sfida delle Famiglie Missionarie km0?
Lo Spirito ha visto bene di mandare questo gruppo a raccontarci cosa stavano vivendo. La diocesi giustamente si è accorta che abbiamo da imparare da questo gruppo e possiamo camminare insieme tenendo presente in particolare quattro punti:
- Incarnare la fede. Abbiamo di fronte a noi delle famiglie che in modo molto semplice sono capaci di vivere la fede tradizionale nel quotidiano, che è una delle cose più difficili oggi: che dei genitori riescano come genitori a trasmettere la fede non perché la infondono ma perché la condividono, la fede passerà come qualcosa di naturale e non di imposto che sparirà nello tsunami del’ adolescenza.
- Sana inquietudine. Ci portavano un’inquietudine che ci fa bene. Invecchiando a livello demografico il rischio è che si cerca di stare tranquilli. Invece il Vangelo produce quella inquietudine che ci obbliga a chiederci dove è Dio, a porci una domanda sulla trascendenza che se no diamo per scontata. Una sana inquietudine che fa bene a tutti, da me vicario a preti e vescovi. Il vescovo continua a chiedere di stimolarli per rimanere radicati a tutto lì dove la gente vive, per capire come stiamo cambiando. Questa irrequietezza che contraddistingue le famiglie porta anche chi loro incontrano, non solo la Chiesa, a porsi delle domande.
- Nella Chiesa locale. Pur venendo da esperienze diverse, al gruppo interessa sia la Chiesa ad accoglierli. In effetti la bellezza del gruppo è che ha al suo interno identità cristiane che vivono esperienze carismatiche molto diverse (francescani, scout, mondo missionario, CL, spiritualità ignaziana legata ai gesuiti, missionari della consolata, mota grosso, comunità Giovanni XXIII…) ma il punto di unificazione è l’essere cristiani insieme in quel luogo, l’essere chiesa e la diversità di esperienza diventa ricchezza, perché ci si incontra e ci si legge con sguardo di fede, ci si comprende vedendo lo Spirito all’opera. Questa pluriformità nell’unità diventa una lezione già di per sé: tutti si accorgono che c’è qualcosa di strano e rimangono affascinati da “come li vedevano insieme per come erano diversi” (tic Atti 2)
- Luoghi di Vangelo. Permettono di avere luoghi di Vangelo. Il rischio che corriamo come diocesi (e che ha già corso il nord Europa con la conseguente sparizione della Chiesa) è che per mantenere il reticolo parrocchiale, non ci si accorge di trasformare le parrocchie da luoghi di vita cristiana a semplici sportelli che offrono servizi. Invece questa esperienza ci permette di rimanere incarnati e di offrire luoghi di Vangelo, di mostrare che la fede cristiana non è un “preghierina” ma è un rapporto e una relazione con Dio che parte dalla preghiera ma che poi trasforma il quotidiano. Le famiglie permettono a chi le incontra di percepire una fame di vita evangelica e di vedere che si può vivere il Vangelo nella quotidianità.
Questi sono i motivi che ci hanno spinto come diocesi a camminare insieme e oggi, dopo alcuni anni, a vedere i frutti a livello strategico: la presenza di una famiglia dove non c’è il prete, a sostegno di un prete in periferia in situazioni difficili, o di rilanciare una comunità dove c’era solo il prete anziano. Ma questi guadagni strategici sono secondari e consecutivi ai guadagni più profondi spirituali. Tra vent’anni la Chiesa sarà completamente diversa ma sarà un’esperienza come questa che aiuterà a far rimanere la Chiesa incarnata.
DA ALCUNE INTUIZIONI PERSONALI AD UN CAMMINO DI CHIESA
Intervento di Eugenio di Giovine, membro dell’Ordine Francescano Secolare. Con la moglie Elisabetta e i cinque figli vive alla Chiesa sussidiaria San Giuseppe Artigiano (Parrocchia san Martino) a Bollate, MI.
Gli inizi: Le prime famiglie che si sono presentate alla diocesi non avevano progettato nulla, semplicemente hanno raccontato ciò che stavano vivendo: tornati da esperienza missionarie ad gentes si sono messe a disposizione della chiesa locale con il desiderio di riproporre nella chiesa diocesana l’esperienza missionaria maturata, nella logica del dono e della restituzione. Altre che venivano da altri cammini ecclesiali forti (movimenti e associazioni e parrocchie) condividevano lo stesso desiderio di servizio.
La commissione diocesana e le scelte organizzative: Nelle comunità dove si iniziava a prestare servizio le famiglie erano “visibili” anche se non “ufficiali”. A tal scopo dopo alcuni anni, è stata istituita una commissione diocesana che ha cominciato ad approfondire che volto dare a questa esperienza sia dal punto di vista pastorale che burocratico. È una commissione bella perché molto varia: don Luca, teologo pastorale, mons. Paolo Martinelli, cappuccino e teologo spirituale, il cancelliere, l’avvocato della curia e l’ufficio amministrativo, oltre che l’ufficio famiglia, l’ufficio missionario e quattro rappresentanti delle famiglie.
Il dialogo porta ad approfondire alcuni argomenti ed a trovare delle soluzioni. Partendo per esempio dalla domanda: “a che titolo abitare in canonica?” si elabora la risposta: “si sottoscrive un contratto di comodato d’uso gratuito, assumendosi le utenze; nessuna famiglia percepisce nulla dalla parrocchia, proprio per una gratuità totale”. Ogni famiglia si mantiene con il proprio lavoro e la propria professione e si è optato per cercare di non professionalizzare l’esperienza come per esempio gli “animatori pastorali” nelle realtà della chiesa tedesca, austriaca o svizzera. Ogni coppia mantiene il riferimento al proprio contesto spirituale di provenienza (mondo missionario, associazioni e movimenti, istituti religiosi) ma reputa una ricchezza il cammino comune (non soli in relazione all’esperienza condivisa ma anche attraverso la partecipazione agli incontri delle FMKm0). Questi incontri sono importanti sia nella fase del discernimento sia nella fase del servizio. Un dato comune a tutte le famiglie che partecipano all’esperienza missionaria a Km0 è che abitano in una struttura della Chiesa (canoniche, oratori o anche altri immobili destinati alla pastorale o all’accoglienza).
L’invio
Il ruolo del Vicario episcopale di zona: il Vicario episcopale di zona scrive una lettera di invio indirizzata alla comunità parrocchiale; tale scritto rappresenta una sorta di mandato della chiesa locale al servizio della comunità. Fino ad oggi solo i sacristi o gli educatori d’oratorio professionali (entrambe compiti stipendiati) erano abilitati a vivere in strutture parrocchiali al posto di un prete. È necessario però capire come inquadrare il servizio di questa famiglia non solo dal punto di vista amministrativo ma anche pastorale. L’introduzione della lettera d’invio è stato un passo di maturazione e di affermazione dell’esperienza. Aiuta anche le comunità parrocchiali a comprendere che la famiglia è un dono della Chiesa.
L’inserimento nella comunità parrocchiale: L’inserimento nella comunità parrocchiale è inizialmente senza ruolo o servizio preciso volendo lasciare che la conoscenza reciproca aiuti a capire dove è più utile spendersi e quali compiti assumere. In alcune comunità infatti il senso o l’utilità di tale servizio non viene percepito subito, potrà essere utile quindi un po’ di tempo per aiutare la comunità ad intuire il cambio in atto, anche attraverso incontri a tema o offrendo testimonianze di altre esperienze missionarie a Km0.
La vita della famiglia: La famiglia “rimane famiglia” con i suoi tempi, ritmi, spazi. I coniugi mantengono il loro lavoro, non solo come fonte di reddito e di realizzazione personale ma anche come occasione di testimonianza e annuncio, sono quindi economicamente autonomi dalla parrocchia. I figli vivono la vita del quartiere, inseriti nelle scuole del territorio ed è in questo contesto che nascono i contatti più significativi con chi è lontano dalla vita della comunità cristiana. I figli hanno l’opportunità preziosa di vivere alcuni anni in un contesto di accoglienza e condivisione, dove la fraternità è il “pane quotidiano”. Nella fase dell’inserimento nella comunità parrocchiale potrà essere affiancata da un’altra famiglia missionaria a Km0.
La vita del prete: I preti trovano nelle famiglie un’occasione per ritrovare un clima familiare: si condividono alcuni pasti nella settimana, momenti di ascolto della Parola o di preghiera, gesti di attenzione, di buon vicinato, di scambio fraterno e di collaborazione pastorale. I preti, soprattutto nei contesti urbani più periferici e problematici, possono condividere con le famiglie l’azione pastorale e le difficoltà nell’incontrare un’umanità indifferente, sofferente, talvolta anche degradata. A volte può capitare che prete e famiglie abitino “sullo stesso pianerottolo”, a volte, nel caso delle unità/comunità pastorali, prete e famiglie abitano in luoghi diversi.
Un servizio pastorale coessenziale
“La terza porta”: Se ci immaginiamo la Chiesa come una grande cattedrale, possiamo dire che dal Concilio di Trento in poi siamo stati tutti invitati ad accedere da un unico grande portone, quello mediato dalle attività del clero. Poi, di lato, c’è sempre stata la “porticina” della vita religiosa. Oggi, l’impegno delle famiglie nel lavoro pastorale, può rappresentare un terzo accesso, un accesso “più a misura dell’uomo di oggi”, accessibile per chi vuole per porre domande o per curiosità ma che non intende riavvicinarsi alla Chiesa attraverso i le “porte” tradizionali. Se si lavorerà nella logica della complementarietà (e non della “gelosia” o della contrapposizione) risulterà evidente il guadagno di questa prospettiva.
Compito della “Famiglia missionaria a Km 0” è quello della presenza “sulla soglia” in uno stile di accoglienza e apertura a chi bussa, soprattutto per “i lontani”. Punto di forza di tale esperienza è la consapevolezza che la famiglia vive i luoghi della comunità: dall’asilo, al mercato, ai luoghi di lavoro e vive gli stessi problemi delle altre famiglie, generando legami che rispondono a quella necessità che oggi hanno le comunità cristiane: ritrovare il contatto con l’umanità nel suo quotidiano
Quello della famiglia diviene un servizio coessenziale, che non sostituisce il ministero dei presbiteri e dei diaconi o “scavalca” ma, affiancandoli, risulta essere una nuova strada (un’altra posta per usare la metafora precedente) per dimostrare di come il vangelo possa incarnarsi nel quotidiano. Una nuova via tra l’altro che porta a tema, sviluppandolo, il tema forte del ruolo delle donne nella Chiesa. La famiglia, in virtù del sacramento matrimoniale, è un dono enorme anche rispetto al confronto uomo-donna, per la differenza di sensibilità, presenza e percezione spirituale.
Suscitare l’impegno e la corresponsabilità dei laici: L’obiettivo non è “saturare” tutte le canoniche andando ad abitare in tutte le canoniche disabitate, ma è spingere anche le altre famiglie ad essere strumento pastorale in qualsiasi stagione si trovi (figli piccoli, lavoro, nonni…) vedendo una famiglia che abita in canonica e che lo fa gratuitamente per la comunità. Si cerca di stimolare il protagonismo di tutte le famiglie, sviluppando un protagonismo più dinamico, favorendo il passaggio del ruolo dei laici da collaboratori a corresponsabili. Vengono assunti, in base alle esigenze della comunità, eventuali compiti di animazione pastorale non a sostituzione dei laici già impegnati in parrocchia ma a sostegno di una presenza laicale sempre più significativa.
Presenza lieta e pastorale d’insieme: Le comunità parrocchiali sperimentano la ricchezza di questa nuova formula pastorale che invita a fare della parrocchia un luogo di relazione piuttosto che solo di erogazione/fruizione di servizi; la presenza della famiglia aiuta i preti a immaginare una parrocchia a misura di famiglia (che tenga conto dei ritmi reali e delle domande che essa pone). Lo scambio tra vocazioni connesso a questa esperienza viene vissuto nella carne permettendo una lettura non parziale della realtà, rendendo anche le proposte più vicine e accessibili alla gente, nell’ottica di una pastorale sempre più trasversale e d’insieme. La famiglia missionaria permette di mantenere una presenza viva e di Chiesa anche nelle parrocchie senza prete residente.
Alcune parole-chiave scelte da coppie del gruppo a partire dalla propria esperienza:
Chiara e Giovanni Balestreri, parrocchia di Vigano Certosino, MI
- restituzione – è un modo per restituire quanto vissuto e imparato di ritorno dalla missione ad gentes).
- per tutti – è un’esperienza che possono fare tutti, non è necessario assumere compiti o ruoli importanti, l’essenziale è lo stile della presenza.
- comunità – da animare e tenere aperta lì dove nascono comunità pastorali.
- corresponsabilità – è importante far sentire tutti responsabili, insieme, della comunità, degli spazi.
- pastorale del caffè – incontrare la gente: tenere la porta aperta accogliendo in casa propria e, nel tempo, divenire “Chiesa in uscita” cercando la gente lì dove è e vive: al mercato, al parco, sul territorio…
Giulia e Francesco, parrocchia di Novate Milanese, MI
- inizio: è un’esperienza in divenire, ancora in costruzione, sentiamo che deve ancora crescere.
- fraternità: è la dimensione che condividiamo soprattutto con il prete coadiutore.
- porta aperta: è lo stile che condividevamo anche prima, ma che continua, da condividere con la comunità e farci conoscere.
Lucia e Marco, parrocchia Sant’Eugenio, Milano
- fraternità tra prete e famiglia
- incontro/condivisione in particolare:
con la comunità cristiana: il villaggio, dove costruire ed educare insieme trasversalmente della propria casa: vivere con la porta aperta
con le Famiglie Missionarie Km0 (incontri e cene)
sul territorio (stranieri e lontani dalla Chiesa, fare rete sul territorio, condivisione dei bisogni)
- discernimento: come dimensione permanente: iniziale, continuo e per il futuro.
- gratitudine
IL GRUPPO FAMIGLIE MISSIONARIE A KM0: STORIA, METODO E STILE
Intervento di Emanuela Costa che cura i contatti e le comunicazioni nel gruppo Famiglie Missionarie a Km0
Come le palme in piazza Duomo: durante l’ultimo incontro delle Famiglie Missionarie a Km0 [FMKm0] abbiamo usato l’immagine delle palme in piazza Duomo. Un elemento urbano che sembra insolito, quasi trasgressivo rispetto al consueto arredo urbano. Eppure, le palme hanno una storia antica e decisamente ambrosiana. Intravvediamo una somiglianza con la storia del gruppo delle FMKm0.
Dal 2017, in piazza Duomo, uno dei luoghi simbolo di Milano, sono state piantate palme, banani e fioriture esotiche tra cui anche bergenie e ibisco in modo da garantire tutti i mesi dell’anno un ricco tappeto fiorito. Questa scelta ha scatenato polemiche e dibattito in città con chi avrebbe preferito piante più tradizionali. A riguardare la storia però si scopre che nell’Ottocento i milanesi già svilupparono una vera predilezione per l’esotico. Come dimostrano fotografi e d’epoca di piazza Duomo con palme e yucche. Anche ciò che sembra nuovo o inconsueto può nascondere radici antiche.
Un po’ di storia
Una prima esperienza sperimentale è stata avviata in Diocesi di Milano alla parrocchia Pentecoste, nel quartiere Quarto Oggiaro. Era il 2001. Nel 2011 una seconda famiglia proseguiva quell’esperienza. Nel frattempo, altre realtà simili, seppur non connesse tra loro e senza regia comune, erano in avvio. È venuto naturale incontrarsi, iniziare a scambiare vissuti e riflessioni ed entusiasmarsi via via a questa amicizia nascente. Abbiamo scoperto incontro dopo incontro di avere desideri e orizzonti simili, anche se venivamo da percorsi ecclesiali diversi (missione ad gentes, movimenti e associazioni, istituti religiosi, …). C’è certamente una “sana” inquietudine che ci ha unito, e anche il desiderio di spendere la vita, di “rischiarla” per i fratelli e per la buona notizia del Vangelo. Ci siamo convinti a farci avanti con la Diocesi di Milano per poter avere se non un coordinamento, almeno un accompagnamento.
Ci ha accolto e ascoltato mons. Luca Bressan, al tempo Vicario Episcopale sia per la Missione che per la Famiglia. Da qui è nato dialogo molto ricco (“generativo” potremmo dire) con la diocesi, in particolare con gli uffici diocesani per la Famiglia e la Missione; un’amicizia crescente tra famiglie, preti, religiosi/e.
Gli incontri sono diventati via via più frequenti e strutturati e il gruppo è diventato un piccolo osservatorio sulla vita della Chiesa diocesana. Il passaparola ha fatto il resto: oggi partecipano agli incontri circa 25 famiglie di cui 20 già residenti in strutture della Chiesa e 5 in discernimento. Contiamo almeno tredici diverse appartenenze ecclesiali. È stata istituita una commissione diocesana per stendere le linee guida dell’esperienza che dovrebbe chiudersi a Giugno 2019.
Abbiamo riassunto in una grafica i numeri dell’esperienza missionaria a Km0>>
Il gruppo
Viviamo il gruppo come uno spazio di scambio e di condivisione, non come un gruppo a cui iscriversi o associarsi. Ognuno mantiene i propri riferimenti spiritualità ma con la disponibilità, per alcuni anni, di mettersi in gioco nella Chiesa diocesana e di mettersi in ascolto della spiritualità degli altri.
Nel tempo abbiamo sperimentato che la dimensione del gruppo innesca dinamiche positive che sostengono il percorso delle singole famiglie e che alimentano il senso di appartenenza all’esperienza diocesana.
Il gruppo:
– Facilita: facilita la comprensione dell’esperienza da parte delle nuove famiglie, delle comunità parrocchiali, dei preti. Aiuta a orientarsi tra le questioni pratiche, amministrative, organizzative. Custodisce la storia di ciascuna esperienza e fa memoria degli errori e delle prassi positive.
– Nutre: rigenera con la preghiera comune, la condivisione della Parola di Dio e anche attraverso il clima di fraternità e di gratitudine fraternità che si respira. Il gruppo è lo spazio di incontro con la spiritualità degli altri; permette di capire “come funziona” la chiesa-istituzione (che ha una sua grammatica). È anche il luogo in cui ci si rigenera, in cui ci si “rimotiva” reciprocamente.
– Fa sentire popolo di Dio: invita ad allargare lo sguardo e ad approfondire il vissuto personale, a leggere le singole esperienze nel cammino della Chiesa: aiuta a trovare la misura tra ritmi familiari e servizio alla comunità parrocchiale: da spunto per rileggere l’esperienza anche ad un livello più spirituale, sostenendo il discernimento vocazionale di ogni famiglia e di ogni coppia.
Metodo e ruoli
Stiamo cercando di strutturare il gruppo il meno possibile, di lasciare che il tempo -e lo Spirito- ci dicano quali ruoli, metodi e ritmi sono necessari. Non c’è una sede né un budget. Gli incontri sono ospitati dalle parrocchie a turno. Questo è un modo per conoscere dal vivo le varie realtà, incontrare le comunità parrocchiali ed è anche l’occasione per le famiglie e i preti di farsi visita a vicenda.
Per il funzionamento del gruppo, la regola generale è quella della “gara dei carismi” e della cura vicendevole. Nel tempo sono nate amicizie tanto profonde quanto inaspettate tra famiglie con provenienze e stili diversissimi. Un nutrimento che un’equipe specializzata potrebbe offrire.
Riconosciamo tuttavia che ci sono alcune condizioni perché l’esperienza cresca.
– Avere un pregiudizio positivo per l’altro: anche se diversi, è una ricchezza che può far crescere la mia fede e la mia capacità di amare i fratelli
– Dare spazio alle diverse personalità ed esperienze per il carisma che esprimono a favore e per il bene di tutti: con la rotazione degli incontri, nei temi trattati, nel dare spazio a racconti e testimonianza. Perché questo avvenga è necessario un ascolto frequente delle varie situazioni.
– Porre attenzione al dialogo tra diocesi, comunità parrocchiali e famiglie: alimentare lo scambio vocazionale tra preti, religiosi/e, famiglie, una dinamica che fa crescere ciascuno e costruisce la Chiesa di domani.
Queste attenzioni costruiscono uno stile sinodale e work in progress.
Una rete oltre i confini diocesani
Sentiamo che l’esperienza missionaria a Km0 ha confini allargati e flessibili. Sentiamo che fanno parte di questa realtà e partecipano alla costruzione della “Chiesa di domani” anche le moltissime delle esperienze simili in Italia in altre diocesi. Siamo legati da una rete di amicizie, di passaparola – e anche attraverso i social network- che ci fa sentire uniti. È una rete che travalica i confini delle diocesi e delle appartenenze: basta un clic sullo smartphone, un messaggio su Whatsapp, per avere cura, da lontano, anche degli amici che vivono in canonica a centinaia di chilometri di distanza, per tenersi aggiornati su percorsi e progetti, per scambiarsi materiale per approfondire.
Il sito internet è un archivio degli eventi connessi con le FMKm0.
I tratti che ci accomunano
Gli anni di cammino insieme hanno fatto emergere alcuni tratti comuni tra le coppie coinvolte:
– La disponibilità alla temporaneità, a lasciare la propria casa per un tempo di servizio alla Chiesa (e di riorganizzare secondo questa priorità i ritmi di lavoro, la vita dei figli e della famiglia allargata).
– Vedere nella condivisione con altre esperienze simili un’occasione di crescita (da qui viene la disponibilità di partecipare al gruppo)
– Un particolare amore per la Chiesa e gratitudine per il proprio percorso ecclesiale. Questo genera la pazienza di stare nella Chiesa così com’è in questa epoca, anche nelle sue povertà e stanchezze. E genera anche la capacità di vedere e accogliere il buono, e il nuovo, che sta crescendo.
– Siamo gente “che non si lamenta” (ci hanno detto una volta), che gioisce di ciò che ha, che non rimpiange ciò che, anche nella Chiesa, non c’è più o non funziona più come un tempo.
– Siamo missionari:
– nella disponibilità a sperimentare pastorali nuove o strumenti pastorali diversi, a metterci in gioco – – nelle pastorali d’insieme, ad accogliere ciò che lo Spirito suscita.
– nella disponibilità a mettersi al servizio, potremmo dire “inculturarsi”, nella comunità in cui si è inviati. Disposti a stare al passo della comunità senza strappi in avanti.
– Nella passione per la gente e desiderio che il Vangelo corra per il mondo, nel desiderio di essere “Chiesa in uscita” (non solo dare un contributo alla vita e al bene della singola comunità parrocchiale)
Alcuni frutti della presenza del gruppo diocesano
Il percorso fatto insieme e il dialogo con la diocesi hanno generato alcuni frutti:
– Il gruppo è diventato una piccola risorsa per la diocesi: l’incontro con una famiglia missionaria a Km0 è stato inserito nel cammino per i cresimandi proposto dalla diocesi, molti sono i contatti per testimonianze in occasione della festa diocesana della famiglia, sono cresciute le sinergie con iniziative Caritas come “rifugiato a casa tua” e presto alcune FMKm0 ospiteranno dei tirocini formativi per donne che vengono dalla tratta, una famiglia collabora con l’istituto diocesano per la formazione permanente dei preti, …).
– È nato uno scambio di idee, contatti, indirizzi utili, occasioni per iniziative comuni.
– Alcuni mariti/mogli hanno sentito l’esigenza di un maggior approfondimento e hanno iniziato a studiare teologia o a fare corsi di approfondimenti su temi specifici.
– È iniziata una riflessione dei preti e religiosi/e coinvolti sul tema della fraternità, del nuovo volto di Chiesa che stiamo costruendo e del ruolo del prete nella parrocchia di oggi.
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Alla ricerca di un nuovo linguaggio
Abbiamo trovato nell’immagine dell’albero e del bosco uno spunto – anche nel linguaggio- per descrivere l’ecosistema” delle FMKm0.
L’albero
I RAMI – Ogni esperienza sviluppa di più alcuni rami e meno altri (fraternità prete-famiglia; accoglienza, animazione territoriale, …). Questo avviene in base alle proprie risorse, all’ambiente in cui si è, ai propri desideri, al progetto che si è costruito insieme.
IL FUSTO – Gli elementi essenziali che “tengono su”, permettono di crescere e svilupparsi
L’ACQUA -Permette di rimanere vivi, di nutrirsi. Va data però con tempi e quantità adeguate
IL TERRENO – La realtà in cui siamo “piantati”
LE RADICI – La storia personale, la propria spiritualità, l’appartenenza ecclesiale, la famiglia, gli amici…
L’ecosistema cioè la comunità di viventi in associazione con il proprio ambiente fisico e legata da un flusso di nutrienti. Alcune caratteristiche interessanti:
BIODIVERSITÀ – é la coesistenza in uno stesso ecosistema di diverse specie che crea un equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni. La biodiversità rende più forti.
PLASTICITÀ – è la capacità di un essere vivente di svilupparsi in modo diverso in relazione a differenti condizioni ambientali. In biologia si parla di plasticità fenotipica quando un genotipo è capace di produrre differenti fenotipi se esposto ad ambienti diversi.
Resistenza – è la capacità di resistere ai danni procurati da eventi o agenti esterni.
Resilienza – è la capacità di rimarginare le proprie ferite, di ripartire da capo, mettere nuove radici, dopo che un evento esterno ha sconvolto il precedente equilibrio.
GENERATIVITÀ – è la capacità di generare, di dare vita ad altri. La generatività sociale è la capacità di avviare azioni creative, connettive, produttive e responsabili con un impatto positivo sulle forme del produrre, dell’innovare, dell’abitare, del prendersi cura, dell’organizzare, immettendovi nuova vita.