Il racconto di Sara e Max all’incontro del 12 Settembre 2020 delle famiglie missionarie a Km0 sul tema “Tessitori di Fraternità”
Il nostro arrivo in SAMZ è avvenuto nel febbraio del 2002 eravamo in affitto in quartiere in attesa di entrare in un condominio solidale di ACF (Associazione Comunità e Famiglia), il padrone di casa ha avuto emergenze familiari e ci ha richiesto la casa, quindi siamo arrivati in parrocchia pensando di essere provvisori, noi eravamo già parte della comunità parrocchiale, educatori ADO, presenti nel CPP o nel Consiglio dell’oratorio…
Fu il parroco di allora don Luigi Parisi a proporci di venire in parrocchia, all’inizio l’abbiamo trovata una proposta assurda, nella nostra comunità ci sono parrocchiani di circa 60 anni che sono nati qui e hanno cresciuto i loro figli qui, ed io ho sempre pensato che era un peccato perché il bello della SAMZ avrebbero potuto portarlo fuori in altre comunità, noi ci immaginavo di uscire di andare in altri contesti comunitari… e poi i progetti di Dio spiazzano e quindi siamo qua più immersi e legati di molti altri!
Don Luigi ci propose di pagare un affitto perché non ci dovevamo sentire in debito con la comunità, ci voleva liberi, ci disse “voi contribuite con un affitto e potete anche non fare nulla in parrocchia”.
Dopo i primi 2 anni al terzo progetto di condominio solidale saltato, il coadiutore di allora ci disse molto semplicemente “forse il Signore vi vuole qua… pensateci” e da li l’esperienza di vicinato permise a don Luigi di mettere a fuoco alcune riflessioni, ci disse che secondo lui in tutte le parrocchie ci sarebbe dovuta essere la presenza di una famiglia, tanto le chiese sono piene di appartamenti e i preti stavano già diminuendo e che del resto spesso gli appartamenti dei preti sono talmente grandi per una sola persona che valeva la pena darli alle famiglie più numerose.
Diceva che non voleva una famiglia che lavorasse in oratorio o parrocchia, ma che aveva bisogno di una famiglia che vivesse la quotidianità di tutti, impegnata con i figli, con il lavoro, tessitrice di relazioni… voleva una famiglia che gli permettesse di comprendere gioie e dolori di un quotidiano di vita da laici…
Aveva l’idea di poter condividere dei tempi di preghiera insieme con i condomini consacrate e altri preti, come anche il condividere dei momenti conviviali… ricordava sempre che Gesù partecipava ai banchetti e alle feste e che quindi era da imitare.
A quel tempo aveva appena iniziato a pensarlo, era il tempo di iniziare a costruire e a condividere, e invece è stato chiamato ad un incarico in curia.
Tralasciamo qui il racconto della fatica vissuta da tutta la comunità, ma quel che è chiaro ancora oggi è che don Luigi aveva comunque seminato, le basi erano state gettate, anche attraverso il lavoro che da anni stavamo affrontando con la comunità intera: il cammino della “Comunità alternativa” e della corresponsabilità sostenuta da Martini.
Si tratta di far vedere che anche oggi—in una civiltà profondamente mutata dalla tecnica, segnata dal benessere, percorsa da conflitti e confusa dal moltiplicarsi dei messaggi—è possibile costruire comunità cristiane che siano nel nostro tempo testimoni di pace, di gioia evangelica, di fiducia nel regno di Dio che viene, comunità missionarie che sappiano operare per attrazione, per proclamazione, per convocazione, per irradiazione, per lievitazione, per contagio.
Una sfida grande, esaltante che richiede la dedizione totale delle nostre energie e del nostro cuore: amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la mente, con tutte le tue forze! (Carlo Maria Martini, Alzati e va’ a Ninive>>, Lettera alla città)
Con l’arrivo del nuovo parroco lo scenario è cambiato, don Gregorio non si è posto in opposizione alla nostra presenza in parrocchia, ma non ha nemmeno fatto un investimento. Ha introdotto uno stile diverso rispetto al cammino fatto fino ad allora con la comunità. Ci sono stati anni intensi di confronto ed è stato complesso far entrare il cammino precedente da “comunità alternativa” con il nuovo percorso.
Anche grazie alla vicinanza di altri parrocchiani abbiamo riflettuto sul ruolo che stavamo giocando in parrocchia e cercato la modalità più adatta per essere comunque una risorsa nella nuova situazione. La nostra presenza è continuata ma il nostro ruolo è cambiato.
Abbiamo soprattutto affiancato il coadiutore don Martino, è arrivato in parrocchia quando aveva 27 anni ed è cresciuto in qualche modo con noi. Sono stati anni dove sono arrivati i nostri figli, siamo stati educatori dei giovani ospitandoli in casa, ma il vero ruolo è stato soprattutto quello di intessere relazioni con le famiglie.
La presenza dei figli facilita e le relazioni si sono strutturate sulla base di scambi di aiuti, di conoscenza, scoprire dove abitavamo portava stupore, dalla faccia si capiva che si chiedevano se eravamo bigotti….
Questo intessere relazioni ha permesso negli anni l’avvicinamento di famiglie di varie provenienze, molte coppie di conviventi o sposate civilmente. Accoglierli in casa nostra e poi in oratorio ha portato a creare le occasioni di incontro con le persone della comunità in primis don Martino. Ha permesso di farli sentire accolti e non giudicati, abbiamo semplicemente preparato la strada per quel vero grande incontro con il Signore.
Alcune di queste coppie hanno chiesto il riconoscimento del loro matrimonio civile alla Chiesa, alcuni hanno fatto recuperare gli anni di catechismo perduti ai figli, c’è chi è diventata catechista… certo magari non tutti si sono lasciati incontrare nel profondo, qualcuno è ancora sulla difensiva, ma intanto c’è. è qui.
Noi diciamo sempre che non abbiamo “Dio in bocca” forse non siamo molto bravi con le parole, ma incontrare in casa la gente accoglierla e soprattutto ascoltarla in una casa colorata sempre in disordine, dove sul tavolo oltre ad un caffè c’è anche la nostra quotidianità fatta di entusiasmo e di fatiche come quelle di tutti, è diventato un punto di forza, raccontare delle nostre fragilità permette una vicinanza immediata perché l’altro non si sente giudicato ed infondo anche quelli che vivono in parrocchia non sono perfetti!
In tutto ciò, non abbiamo mai avuto una presentazione ufficiale alla comunità o almeno al CPP, le famiglie che ci conoscono da tempo, hanno chiaro che vogliamo il bene della comunità, che dedichiamo le nostre energie e preghiere a intessere relazioni anche intragenerazionali, qualcuno dice che i preti ci hanno usati, qualcuno è più interessato a capire se siamo dei privilegiati, si stupiscono se ci mettiamo in coda per le iscrizioni all’oratorio estivo. Ad oggi sono ancora consigliera al CPP sempre eletta dalla comunità direi che questo aspetto racconti almeno in parte il bene nei nostri confronti.
L’immagine di tessitori di tende ci è cara, e ci fa pensare anche alle tipologie di tende.
La prima la tenda come casa sobria, agile che si può spostare (noi che siamo un po’ zingari siamo però passati alla roulotte perché stiamo invecchiando!) di fatto possiamo dire di non avere una casa nostra, e che la casa che abbiamo è decisamente semplice, di certo non ci aspettavamo di avere una permanenza così lunga, ma è vero anche che abbiamo deciso di affidarci a Lui e ad oggi ci sembra nonostante il cambio dei consacrati che ci chieda ancora di restare.
La seconda tenda che ci viene in mente è la tende che si usa alle porte di alcune case di campagna che si muovono con il vento, lasciano intravvedere ma non svelano del tutto. La porta di casa è aperta ma non spalancata, in tutti questi anni possiamo rivedere fasi di vita diverse, il periodo senza figli, quello con i figli piccoli e oggi con un nuovo equilibrio con due adolescenti su tre, ma con i genitori anziani da seguire. La porta aperta permette alla gente di entrare e a noi di uscire, di nuovo questo scambio reciproco tra bisogno e supporto, ma un filo rosso in tutto questo periodo è lo sguardo sulla nostra famiglia. E’ la ricerca di un equilibrio continuo tra i tempi della famiglia nella comunità e i tempi da dedicare solo alla famiglia, ecco perché la porta non può essere spalancata perché arriva il momento dove tutelare i nostri tempi e spazi.
La terza tenda è quella delle quinte del palcoscenico, sapete che abbiamo realizzato un musicol sulla figura di don Milani, le persone coinvolte sono più di 80 la maggior parte sul palco come attori ballerini e cantanti dai 7 ai 60 anni circa. Questo è l’ultimo e grande spettacolo realizzato in SAMZ, ma diversi sono stati gli spettacoli realizzati con gli adolescenti, e il nostro ruolo è sempre dietro le quinte, tra luci e microfoni per Max e scenografie e assistenza al palco per me, ma direi che rappresenta bene il nostro ruolo, che è semplicemente quello dei facilitatori, aiutiamo gli altri a diventare dei primi attori delle loro stesse vite, perché su quell’ipotetico palcoscenico, possano sentirsi guardati, ascoltati e ammirati da Dio, insomma cerchiamo di facilitare quell’incontro che sappiamo bene stravolge la vita.
Concludiamo dicendo che siamo al terzo cambio di parroco, don Davide, e nel frattempo sono cambiate anche le consacrate laiche. Ogni volta c’è il fascino del nuovo, della possibilità di ricominciare e di costruire del nuovo; al tempo stesso c’è il timore del cambiamento: non tutto quel che si è costruito con i consacrati precedenti è da cancellare o da mantenere per forza, certo è che questa comunità ha uno “zoccolo duro” che nonostante le fatiche ed i silenzi degli anni passati tiene sempre vivo il desiderio di essere una comunità alternativa.
Non so se riusciamo a vivere la corresponsabilità pienamente. Certo è che è una domanda per noi sempre viva….e che racconta del desiderio di camminare insieme.
Ora siamo in un tempo di attesa: capiremo con don Davide (e speriamo con gli altri vicini di casa) come essere ancora “tessitori”.
Dobbiamo rispettare i tempi della vita di tutti: un nuovo parroco solo, senza coadiutore; noi con i nostri tre genitori anziani e compromessi che ci interpellano su una nuova fase di vita.